Hey everyone (▰˘◡˘▰)
Welcome back to Drops, REINCANTAMENTO’s newsletter.
My international friends and colleagues often ask me how things are going in Italy since Giorgia Meloni’s post-fascist government took power. With Drop #28, we finally offer a glimpse into the current Italian landscape and an answer to my friends’s questions.
As a guest contribution from Cristina Trey, the piece examines Italy's disturbing "Red Zones Directive", a surveillance mechanism that allows authorities to bar "undesirable" citizens from public spaces based on past protest attendance, criminal records, or simply existing outside conventional norms. Trey’s analysis highlights the role of public space as a frontline in the political struggle for the city. For the Berlin-based readers, the last year and half events’ cycle shows it all too well. This piece is available in both Italian and English.
Cristina Trey is a PhD student at Politecnico di Torino and a research fellow at Università Orientale di Napoli. She focuses on participative public policies, welfare mix and social innovation. Activist, with one foot in Naples and the other in the world. Follow her work here.
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Immaginate di vedervi vietato l’accesso al centro della vostra città perché avete frequentato troppe manifestazioni pro-Palestina. O il non poter scendere in strada durante la notte di Capodanno perché avete la fedina penale sporca, magari per un evento di decine di anni prima. Non si tratta, purtroppo, di scenari ipotetici ma del prossimo futuro dell’Italia del neofascismo al potere, secondo i piani della cosiddetta "Direttiva Zone Rosse", esplicitata proprio a partire dalla notte dell’ultimo dell’anno.
In piena continuità con una lunga tradizione di controllo biopolitico dello spazio pubblico, la "Direttiva Zone Rosse" del Ministero dell'Interno si configura non solo come misura sperimentale, ma come laboratorio di un nuovo paradigma di governance urbana. Presentandosi come "temporanea" attuazione del più ampio DDL "Sicurezza", la direttiva merita un'analisi approfondita in quanto dispositivo emblematico del passaggio a uno scenario post-democratico, per non dire una vera e propria prova tecnica di regime.
La Direttiva è (anche) una questione di potere
Innazitutto, la Direttiva articola un duplice meccanismo. Da un lato, attraverso la delega ai prefetti della perimetrazione delle zone rosse, istituisce spazi di eccezione all'interno del tessuto urbano; dall'altro, conferendo agli operatori delle forze dell'ordine un'inedita discrezionalità nel sanzionare comportamenti "potenzialmente" molesti o aggressivi, opera uno slittamento cruciale dalla logica punitiva a quella preventiva del controllo sociale. Citando testualmente: "Conseguire un reale e durevole effetto di deterrenza e repressione delle possibili condotte criminali".
L’evoluzione paranoica della gestione dell’ordine pubblico è tutta in questa “possibilità”; infatti per le infrazioni che si verificano effettivamente (e non eventualmente...), le norme già esistono e la direttiva in esame è del tutto superflua. Siamo al processo alle intenzioni, ma senza contraddittorio, e con pena istantanea, per tutti la stessa: l’allontanamento dei corpi indecorosi dallo spazio pubblico.
La Direttiva è (anche) una questione semantica
Tanti media mainstream hanno parlato di una direttiva atta a blindare il Capodanno nelle principali città italiane, liquidando la questione in due giorni. Ancora una volta, i media si dimostrano protagonisti di una diffusa disonestà intellettuale, tatticamente finalizzata a non allarmare i loro lettori, che non sono comunque il target di questa direttiva.
La precipitosa involuzione semantica della formula "zona rossa" - dal suo utilizzo militare per contenere le contestazioni sociali durante i “grandi eventi” come il G8, alla declinazione sanitaria durante la pandemia, fino all'attuale configurazione securitaria - rivela la plasticità dei dispositivi di controllo. La maschera è caduta e la formula “zona rossa” rivela la sua fondamentale natura militaresca: il potere si arroga esplicitamente il diritto arbitrario di decidere chi può e non può fruire dello spazio pubblico. Anzi, ancora peggio: la pretesa è quella di stabilire lo standard assoluto di comportamento a cui i cittadini debbano conformarsi per vivere nei luoghi che attraversano.
Di nuovo dal testo della Direttiva: “Prevenire e contrastare l’insorgenza di condotte di diversa natura che – anche quando non costituiscono violazioni di legge – sono comunque di ostacolo al pieno godimento di determinate aree pubbliche”. Viene da chiedersi a beneficio di chi si allontani l’Altro da un luogo pubblico, pur in assenza di infrazioni? Chi serve veramente la Direttiva?
La Direttiva è (anche) una questione di democrazia
È la rappresentazione plastica di come esistano dei gruppi di persone i cui interessi e la cui visione di mondo siano rappresentati dalla classe dirigente, e imposti a tutti gli altri. Chi è che infatti veniva considerato "indecoroso", ben prima dell'approvazione di questa direttiva? Solo per citare alcuni esempi, le persone senza fissa dimora, le persone che chiedono l'elemosina, le persone con problemi di salute mentale, le persone camminanti, rom, sinti, le persone con problemi di tossicodipendenza, le persone migranti, le persone che praticano sex work.
Insomma tutte coloro che, volenti o nolenti, vivono ai margini di uno standard di comportamento che per essere raggiunto necessita di non scontati strumenti economici, sociali e relazionali. Si parla di fattori strutturali ma decisivi come un lavoro stabile e adeguatamente retribuito, una rete socio-affettiva solida e di supporto e un quadro legislativo e amministrativo che faciliti l’emancipazione della persona. Raramente ci si ferma a riflettere su quante persone, con i più diversi background e storie di vita, siano escluse da questi fattori solo all’apparenza banali. Queste persone popolano le strade in maniera non
convenzionale, sia per scelta che per necessità, e subiscono sanzioni non tanto per specifiche infrazioni, quanto per la loro stessa presenza che, incarnando forme alternative di socialità, mette in discussione l'ordine spaziale egemonico.
La Direttiva è (anche) una questione spaziale
Il modo in cui si occupa lo spazio pubblico è un potenziale detonatore di riequilibri di potere bottom-up, le piazze sono storicamente il palcoscenico essenziale di ogni espressione popolare di cambiamento. Come sostiene David Harvey: "Piazza Syntagma ad Atene, Piazza Tahrir al Cairo e Plaza de Catalunya a Barcellona erano spazi pubblici che si sono trasformati in commons urbani quando le persone vi si sono riunite per esprimere le proprie opinioni politiche e avanzare rivendicazioni”.
Cosa succede però se lo spazio non lo occupano i cittadini, bensì le forze dell'ordine? Il rapporto tra spazio pubblico e potere funziona anche dall’alto verso il basso, e il Governo più reazionario della storia repubblicana l’ha capito bene. In un contesto di crisi globali intrecciate e di impoverimento generalizzato, il sistema economico vigente lascia spazio solo per "un welfare contenitivo dei disagi e della rabbia, centrato sul dare qualche ammortizzatore per limitare le proteste", come sottolinea giustamente Andrea Morniroli, coordinatore del Forum Diseguaglianze e Diversità. Il Governo Meloni non perde occasione per intervenire a proprio vantaggio nella lotta per l’abitare e lo spazio pubblicocome abitare lo spazio pubblico. In questo quadro, la “Direttiva Zone Rosse” è un potente strumento di disciplinamento rivolto verso i più fragili. La criminalizzazione di tale fragilità emerge chiaramente dal testo della Direttiva:
"L'analisi di contesto, infatti, evidenzia come sovente la consumazione di reati si inserisca in un quadro caratterizzato da plurimi fattori di fragilità (abitativa, occupazionale, educativa, familiare) e in cui si insinuano fenomeni come quello dello spaccio di sostanze stupefacenti, della malamovida, dell'abuso di alcolici, dell'occupazione e vandalizzazione di edifici e spazi pubblici e privati."
In pochi righi vengono sciorinati tanti tra gli antichi e nuovi nemici pubblici della destra al governo, un coacervo di qualunquismo che mette insieme le dipendenze, le emergenze abitative, il vandalismo, e finanche la “malamovida”! Questioni serie, fraintese e banalizzate, affrontate con un pugno duro che rivela solo miopia politica: espulsioni coatte dallo spazio pubblico, segregazione delle povertà lontano dai riflettori della città vetrina, sempre più a uso e consumo di chi se la può permettere. Ignorando poi il fattore della criminalità organizzata, così importante in Italia, e che storicamente prospera sulla povertà e sull’arretramento dello Stato davanti ai bisogni dei più fragili. Ma chissà perché non c’è traccia nella “analisi di contesto” della Direttiva di un tassello così essenziale e macroscopico.
La Direttiva Zone Rosse rappresenta, in ultima analisi, la riproduzione su scala urbana della logica coloniale e classista sottostante alla formula "The West and the Rest". Superando l'eufemismo dei cittadini di "serie A" e "serie B", assistiamo a una accelerazione della virata autoritaria dell'attuale governo, che trova nel DDL 1660 “Sicurezza”, già sanzionato dall'ONU, il suo punto più avanzato. La Direttiva prefigura un nuovo modello di società in cui nessuna libertà e nessun diritto possono più essere dati per scontati, configurandosi come dispositivo paradigmatico di un emergente regime di controllo urbano.
English Version
Imagine being denied access to your city center because you attended too many pro-Palestine demonstrations. Or being barred from the streets on New Year's Eve due to a criminal record from decades past. These are not hypothetical scenarios but rather the impending future of Italy under neofascist power, according to the plans of the so-called "Red Zones Directive," explicitly implemented starting from New Year's Eve.
In perfect continuity with a long tradition of biopolitical control of public space, the "Red Zones Directive" issued by the Ministry of Interior configures itself not merely as an experimental measure, but as a laboratory for a new paradigm of urban governance. Presenting itself as a "temporary" implementation of the broader "Security" bill, the directive warrants thorough analysis as an emblematic device of the transition to a post-democratic scenario, if not an actual technical rehearsal for a regime.
The Directive is (also) a question of power
First and foremost, the Directive articulates a dual mechanism. On one hand, through delegating to prefects the power to delineate red zones, it establishes spaces of exception within the urban fabric; on the other, by conferring unprecedented discretionary power to law enforcement operators to sanction "potentially" disruptive or aggressive behaviors, it operates a crucial shift from punitive logic to preventive social control. Quoting directly: "To achieve a real and lasting effect of deterrence and repression of possible criminal conduct."
The paranoid evolution of public order management is entirely contained in this "possibility"; indeed, for infractions that actually occur (rather than potentially...), norms already exist and the directive in question is entirely superfluous. We are witnessing a trial of intentions, but without contradiction, and with instant punishment, the same for everyone: the removal of indecorous bodies from public space.
The Directive is (also) a semantic question
Many mainstream media outlets spoke of a directive aimed at securing New Year's Eve in major Italian cities, dismissing the issue in two days. Once again, the media proved to be protagonists of widespread intellectual dishonesty, tactically aimed at not alarming their readers, who are not the target of this directive anyway.
The precipitous semantic involution of the "red zone" formula - from its military use to contain social protests during "major events" like the G8, to its sanitary declination during the pandemic, up to its current security configuration - reveals the plasticity of control apparatuses. The mask has fallen, and the "red zone" formula reveals its fundamental militaristic nature: power explicitly arrogates to itself the arbitrary right to decide who can and cannot use public space. Even worse: the pretense is to establish the absolute standard of behavior to which citizens must conform to live in the places they traverse.
Again from the Directive's text: "To prevent and counter the emergence of conduct of various nature which – even when not constituting violations of law – nevertheless obstruct the full enjoyment of certain public areas." One wonders for whose benefit the Other is removed from a public place, even in the absence of infractions? Whom does the Directive truly serve?
The Directive is (also) a question of democracy
It is the plastic representation of how there exist groups of people whose interests and worldview are represented by the ruling class and imposed on all others. Who, indeed, was considered "indecorous" well before this directive's approval? Just to cite some examples: homeless people, people who beg, people with mental health issues, itinerant people, Roma, Sinti, people with drug addiction problems, migrants, people who practice sex work.
In short, all those who, willingly or unwillingly, live at the margins of a behavioral standard that requires non-obvious economic, social, and relational tools to achieve. We're talking about structural but decisive factors like stable and adequately paid work, a solid and supportive socio-affective network, and a legislative and administrative framework that facilitates personal emancipation. Rarely do we stop to reflect on how many people, with the most diverse backgrounds and life stories, are excluded from these seemingly basic factors. These people populate the streets in unconventional ways, both by choice and necessity, and face sanctions not so much for specific infractions, but for their very presence which, embodying alternative forms of sociality, challenges the hegemonic spatial order.
The Red Zones Directive is (also) a spatial question
The way public space is occupied is a potential detonator of bottom-up power rebalancing; squares are historically the essential stage of every popular expression of change. As David Harvey maintains: "Syntagma Square in Athens, Tahrir Square in Cairo, and the Plaza de Catalunya in Barcelona were public spaces that became an urban commons as people assembled there to express their political views and make demands."
But what happens if the space is not occupied by citizens but by law enforcement? The relationship between public space and power also works from top to bottom, and the most reactionary government in republican history understands this well. In a context of intertwined global crises and generalized impoverishment, the current economic system leaves room only for "a welfare system that contains discomfort and anger, centered on providing some shock absorbers to limit protests," as rightly noted by Andrea Morniroli, coordinator of the Forum on Inequalities and Diversity. The Meloni Government never misses an opportunity to intervene to its advantage in the struggle for inhabiting public space. In this framework, the "Red Zones Directive" is a powerful disciplining tool directed at the most vulnerable. The criminalization of such fragility clearly emerges from the Directive's text:
"The contextual analysis, in fact, shows how the commission of crimes often occurs within a framework characterized by multiple factors of fragility (housing, occupational, educational, family-related) and in which phenomena such as drug dealing, 'bad nightlife,' alcohol abuse, occupation and vandalization of public and private buildings and spaces take root."
In just a few lines, many of the old and new public enemies of the right-wing government are listed, a mishmash of populism that combines addictions, housing emergencies, vandalism, and even "bad nightlife"! Serious issues, misunderstood and trivialized, addressed with a heavy hand that reveals only political myopia: forced expulsions from public space, segregation of poverty away from the spotlight of the showcase city, increasingly for the use and consumption of those who can afford it. This while ignoring the factor of organized crime, so important in Italy, which historically thrives on poverty and the state's retreat from addressing the needs of the most vulnerable. But who knows why there is no trace in the Directive's "contextual analysis" of such an essential and macroscopic piece.
The Red Zones Directive represents, ultimately, the reproduction on an urban scale of the colonial and classist logic underlying the formula "The West and the Rest." Moving beyond the euphemism of "first-class" and "second-class" citizens, we are witnessing an acceleration of the authoritarian turn of the current government, which finds in the "Security" Bill 1660, already sanctioned by the UN, its most advanced point. The Directive prefigures a new model of society where no freedom and no right can be taken for granted anymore, configuring itself as a paradigmatic device of an emerging urban control regime.
The boundaries of citizenship and democracy are being profoundly redrawn, producing new forms of exclusion and marginality that require a critical response and a renewed practice of urban resistance.